Come misurare il dolore?
Il dolore muscolo-scheletrico rappresenta una delle cause più frequenti di dolore cronico nella popolazione mondiale che incide notevolmente sulla qualità di vita delle persone.
Le patologie più frequentemente associate a questo sintomo sono l’osteoartrosi, le malattie infiammatorie autoimmuni, su tutte l’artrite reumatoide, le artropatie da cristalli, come la gotta, ed infine la fibromialgia che conducono il paziente a ricorrere ad un uso spesso spropositato di farmaci antinfiammatori non steroidei o ad interventi chirurgici di artroprotesi. E’ noto che la sensazione di dolore sia condizionata da numerosi fattori contestuali ed in particolare la presenza di comorbidità, l’aspetto sociale, il sesso, il livello culturale, la personalità e la possibilità di accesso a cure mediche sono associate ad un diverso approccio al dolore da parte del paziente. Una delle principali conseguenze del dolore cronico è la riduzione della qualità del sonno con destrutturazione e deprivazione di esso che conduce ad un abbassamento della soglia dolore e pertanto allo sviluppo di un circolo vizioso. Infine, il perpetuarsi di tale quadro clinico, conduce alla cronicizzazione del dolore ed un aumentato rischio di sensitizzazione centrale.
Fluttuazioni temporali del dolore
Uno dei problemi principali riscontrati in clinica è la precisa misurazione del dolore. Questo è legato sia alla difficoltà da parte del paziente nel quantificare questa sensazione, sia per le fluttuazioni dello stesso durante la giornata, in particolar modo nelle patologie infiammatorie croniche. Nelle patologie reumatiche, in effetti, è riscontrabile dal punto di vista laboratoristico, un aumento degli indici infiammatori, come la proteina C- reattiva, in corrispondenza delle riacutizzazioni del dolore; è chiaro però che questa modalità di valutazione risulti complicata da implementare nella pratica clinica. Pertanto è risultata chiara la necessità di sviluppare delle modalità di valutazione del dolore più affidabili, semplici e riproducibili come le scale di valutazione. Inoltre nto uno studio internazionale condotto sui pazienti affetti da coxartrosi e gonartrosi ha evidenziato due principali pattern dolorifici: uno intermittente, evocato da uno preciso stimolo, ed uno con dolore costante che cresce in relazione all’avanzamento della patologia.
Approccio bio-psicosociale al paziente con dolore muscoloscheletrico
L’approccio al paziente con dolore, come accennato prima, non può prescindere da una valutazione completa, non solo del problema muscolo-scheletrico riferito, ma anche e soprattutto delle comorbidità e delle condizioni socio-culturali. Ad esempio in pazienti con apnee notturne, la risoluzione delle difficoltà durante il sonno migliora sia la sintomatologia dolorifica che la responsività alle terapie. In relazione a questa modalità di valutazione di più ampio respiro, è stato introdotto nella partica clinica l’approccio proposto dal modello bio-psicosociale secondo il quale deve essere inclusa non solo un’attenta analisi delle caratteristiche del dolore (intensità, frequenza, qualità e così via) ma anche dello stato emotivo del paziente, della fatica, delle limitazioni nelle attività della vita quotidiana e delle eventuali restrizioni nella partecipazione sociale. Il modello che integra i suddetti elementi è quello proposto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (World Health Organization, WHO) attraverso la Classificazione Internazionale delle Funzioni, delle Disabilità e della Salute (International Classification of Functioning, Disability and Health, ICF).
Fattori che influenzano la scelta dello strumento adeguato
La scelta dell’adeguato strumento di misurazione del dolore deve seguire una precisa valutazione di una serie di fattori. In primis la facilità di esecuzione e il tempo impiegato dal compilatore per adempiere alle domande del questionario, due caratteristiche fondamentali per l’utilizzo corrente nella pratica clinica. Attualmente la disponibilità di supporti tecnologici più avanzati e, in alcune realtà, l’utilizzo di applicazioni sui dispositivi mobili, ha reso semplice sia l’esecuzione dei questionari sia la digitalizzazione dei dati con lo scopo di facilitare sia la pratica clinica sia gli studi scientifici. Altro punto da valutare è la scelta di uno strumento generico oppure specifico per la malattia riferita. A tal proposito, i questionari generici permettono di fornire una panoramica più ampia dello stato di salute dei pazienti ma è carente sul problema specifico riportato dal paziente; pertanto sarebbero da preferire in caso di persone con multipli problemi di salute. Discorso similare può essere fatto per i strumenti che analizzano solo una sede oppure l’intera regione anatomica (es. ginocchio oppure intero arto inferiore). Per quanto riguarda la scelta di una scala unidimensionale o multidimensionale, le prime sono da preferire nel caso sia necessario indagare solo l’aspetto quantitativo, mentre le seconde sono preferite per un’analisi comprensiva anche di altri aspetti su cui il dolore influisce. Infine, ultime caratteristiche da valutare sono quelle psicometriche, ed in particolare la riproducibilità, la specificità e la sensibilità del questionario.
Come valutare la differenza tra due misurazioni
Una delle caratteristiche fondamentali per valutare l’effettiva qualità dei questionari è la capacità di rilevare una differenza tra due diversi misurazioni. La cosiddetta “minima differenza clinicamente rilevante” (minimal clinically important difference, MCID) è stata studiata per la maggior parte dei questionari e può differire tra la valutazione del miglioramento e del peggioramento dei sintomi. In effetti questa definizione risulta particolarmente complessa e imprecisa da dare in quanto, nel caso del dolore, la misura della differenza viene stabilità mediante la semplice indicazione da parte del paziente nel riferire un “lieve miglioramento/peggioramento” oppure “dolore stazionario” rispetto alla precedente valutazione. Inoltre potrebbe essere difficile differenziare se l’effettiva riduzione del dolore sia legata all’azione di un intervento farmacologico e/o non farmacologico oppure ad una cautelizzazione del paziente stesso per evitare gli stimoli esacerbanti il dolore (es. camminare nei pazienti con gonartrosi).
Il ruolo dell’esame clinico per la valutazione del dolore muscolo-scheletrico
L’esame clinico è fondamentale per la valutazione del paziente con dolore muscolo-scheletrico, risultando complementare alla somministrazione dei questionari. Esso è utile per localizzare con precisione la sede del dolore, evidenziare la presenza di segni di infiammazione, dolorabilità alla mobilizzazione ed infine eventuali di instabilità articolari o malallineamenti. Per una maggiore esemplificazione nel riportare i dati dell’esame clinico è possibile utilizzare il cosiddetto “joint homunculus”, un semplice diagramma dove riportare le sedi del dolore spontaneo, le sedi in cui è possibile evocare dolore con la palpazione e/o la mobilizzazione, le sedi articolari rigide o edematose. L’homunculus è possibile utilizzarlo nei pazienti che soffrono di dolori muscolo-scheletrici sia di natura degenerativa sia di natura infiammatoria-autoimmunitaria in modo da seguire l’evoluzione della sintomatologia nel tempo e gli effetti di una terapia in corso.
Conclusione
In conclusione l’esame del paziente con dolore muscolo-scheletrico deve seguire un approccio preciso che analizzi non solo il dolore presente al momento della visita ma attuando un approccio multicomprensivo secondo il modello bio-psicosociale. Solo mediante tale metodica è possibile raggiungere ad una comprensione completa dei problemi e dei bisogni del paziente dando la possibilità di ampliare lo spettro di interventi possibili e di impostare la terapia più adeguata in modo da migliorarne i risultati.
Dott. Marco Paoletta

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