È necessaria una nuova classificazione del dolore cronico?
Nell’ultimo decennio è emerso un crescente disagio tra gli studiosi del dolore per le difficoltà di inquadrare in maniera chiara, soprattutto ai fini diagnostici e terapeutici, tutte le forme di dolore cronico che il clinico viene ad affrontare nella sua pratica quotidiana.
Come è noto, nel 1994, fu proposta una classificazione del dolore cronico basata essenzialmente sull’individuazione di un “dolore neuropatico” (iniziato o causato da lesione primaria o da disfunzione del sistema nervoso periferico o centrale) e di un dolore cronico “non neuropatico”. Negli anni successivi quest’ultima forma fu definita come “nocicettiva” (da stimolazione dei recettori primari nocicettivi). Nel 2011 il dolore cronico neuropatico cambiò definizione allo scopo di meglio identificare le caratteristiche patogenetiche, divenendo un dolore “causato da una lesione o da una malattia del sistema somato-sensoriale”.
L’ampio dibattito di questi ultimi anni ha confermato il disagio di molti ricercatori e clinici nell’uso di questa classificazione che non permette di inquadrare tutte le condizioni di dolore cronico.
Al fine di identificare una migliore corrispondenza tra inquadramento tassonomico ed aspetti clinici, l’International Association for the Study of Pain (IASP) ha nominato una task force multidisciplinare che fornisse delle risposte chiare alle esigenze classificatorie in ambito clinico e di ricerca. Il 14 novembre 2017, lo IASP council ha deciso di modificare la propria classificazione del dolore cronico accettando le conclusioni della task force coordinata da Eva Kosen, del Dipartimento di Neuroscienze del “Karolinska Institute” di Stoccolma, e introducendo un nuovo tipo fisiopatologicamente identificato di dolore cronico, da affiancare a quelli già da tempo noti, di nocicettivo e neuropatico.
Secondo la task force, la necessità di trovare un terzo tipo di dolore cronico deriva dalla insoddisfazione nel descrivere il dolore in alcuni pazienti in cui non ritroviamo l’attivazione dei nocicettori e che, nello stesso tempo, non incontrano la definizione di dolore neuropatico possibile o determinato. Ad esempio, nelle due forme tradizionali di dolore cronico, non rientrano i soggetti che hanno esperienza di dolore con distribuzione regionale non associato a chiari segni di neuropatia ma caratterizzato da ipersensibilità recettoriale in assenza di lesione tissutale. Possibile spiegazione a questo fenomeno potrebbe essere una modifica strutturale associata ad un processamento anomalo dello stimolo da parte dei nocicettori, in presenza di un rimodellamento del sistema nervoso centrale come riportato da alcuni studi che evidenziano variazioni nella attivazione e nelle connessioni di specifiche strutture cerebrali.
Pertanto, alla luce delle nuove conoscenze sui meccanismi biologici, è stato proposto un terzo tipo di dolore cronico definito “nocipatico”, termine che caratterizzerebbe una condizione patologica dei nocicettori, in cui è compresa una modalità di dolore che in passato veniva classificato come aspecifico o idiopatico. Secondo la task force viene definito come nocipatico “un dolore che deriva dalla alterazione della nocicezione, nonostante non vi siano chiare prove di danno tissutale reale o potenziale che causi l’attivazione di nocicettori periferici o di evidenza di malattia o lesione del sistema somatosensoriale”. Lo scopo dell’inserimento di questa nuova modalità è di caratterizzare nella pratica clinica il soggetto con dolore cronico con maggiore precisione agevolando la comunicazione tra paziente e medico e migliorando la gestione del sintomo; inoltre avrebbe delle significative ricadute anche sulla ricerca scientifica consentendo la progettazione di studi dedicati.
Nonostante i numerosi consensi, non sono mancate le critiche alla nuova classificazione proposta da Kosen et al. In particolar modo Lars-Petter Granan, dell’Università di Oslo, in una lettera all’editore qualifica questa nuova definizione come vaga ed imprecisa. Granan commenta che la nuova terminologia deriva da una banale osservazione clinica non supportata da sufficienti evidenze scientifiche tali da giustificare un cambiamento tassonomico. Inoltre lo stesso autore sostiene che le ipotizzate modifiche strutturali che avvengono livello cerebrale sarebbero aspecifiche (non tipiche di questa forma di dolore cronico) e che pertanto l’assunto che i pazienti con dolore “nocipatico” siano maggiormente responsivi alle terapie “centrali” non sia in realtà dimostrato in letteratura. A queste critiche sollevate, la Kosen si è difesa sostenendo che la nuova categoria di dolore “nocipatico” non deve essere intesa come una categoria che raccolga i soggetti con un dolore cronico che non rientrano nelle due forme classiche e che quindi non sostituisce la categoria del dolore cronico idiopatico, bensì includa quei pazienti che hanno un dolore cronico con precise caratteristiche di alterazione funzionale dei nocicettori in presenza di una contemporanea modifica della processazione centrale.
A nostro parere l’eziopatogenesi del dolore cronico rimane ancora da chiarire in tutti i suoi aspetti. È indubbio che l’introduzione di questa nuova categoria rappresenti un avanzamento nell’inquadramento diagnostico del dolore cronico con un importante ricaduta sul management di questa condizione. Il fatto che la IASP l’abbia introdotta ufficialmente a partire da questo mese all’interno del sistema tassonomico del dolore renderà questo nuovo tipo di dolore cronico oggetto di studi scientifici specificamente dedicati.
Nella tabella di seguito riportiamo la nuova classificazione tassonomica della IASP:
Prof. Giovanni Iolascon

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