La gestione del paziente con dolore muscolo-scheletrico ai tempi del Coronavirus
La pandemia da SARS-CoV2-2 rappresenta senza dubbio un’emergenza sanitaria meritevole di tutto l’interesse della comunità medica e scientifica. Tuttavia, tale situazione non deve distogliere l’attenzione circa condizioni patologiche, acute e croniche, ordinariamente esistenti nella vita quotidiana della popolazione, come sottolineato da diversi specialisti. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha prodotto una guida operazionale per il mantenimento di livelli di assistenza sanitaria essenziali durante la pandemia e le precauzioni da dover attuare per il ridurre il rischio di contagio. Al pari di patologie come il cancro, l’Alzheimer, il Parkinson, patologie autoimmuni e psichiatriche, anche la gestione del dolore acuto, ma in particolar modo di quello cronico, non deve essere trascurata, soprattutto se effettuata con farmaci ad uso prolungato. Il dolore cronico, come sappiamo, rappresenta già in se una condizione che aumenta lo stato di ansia e depressione e viceversa lo stress psicologico derivante dalla pandemia può esacerbare il dolore cronico, alimentando un circolo vizioso di difficile gestione. Pertanto, la gestione ambulatoriale del dolore rappresenta comunque un problema sanitario. Numerosi protocolli di gestione sanitaria suggeriscono un ruolo sempre più importante della telemedicina. Tale approccio infatti è altamente promettente, consentendo di effettuare una “visita a distanza” dando la possibilità di prescrivere eventuali trattamenti o modificare terapie già in corso, con un buon grado di soddisfazione e accettazione da parte del paziente.
Da un punto di vista clinico ci sono evidenze circa l’interazione tra i farmaci antidolorifici e il COVID-19. Tali interazioni riguardano in particolar modo i farmaci oppioidi, antiinfiammatori steroidei e non steroidei.
E’ noto che l’utilizzo prolungato degli oppioidi, in particolare morfina e fentanyl, ha effetti soppressivi sul sistema immunitario. Pertanto i soggetti che assumono alte dose per tempi prolungati possono essere maggiormente suscettibili a contrarre l’infezione da COVID-19 o presentare un quadro clinico più severo. Inoltre, gli oppioidi possono provocare una depressione respiratoria, aggravando i sintomi respiratori. Tuttavia, alla luce di questi elementi, non è consigliabile un’ interruzione improvvisa di tali farmaci, né tantomeno evitarne la nuova prescrizione. Un atteggiamento ragionevole potrebbe essere ridurre i dosaggi in soggetti già in terapia o utilizzare oppioidi a breve durata d’azione e per il più breve periodo possibile, tenendo ben in considerazione tutti i rischi associati e monitorando attentamente ogni caso.
Anche gli antidolorifici steroidei sono caratterizzati da un sensibile effetto depressivo della risposta immunitaria. Tale risultato, tuttavia, sarebbe ridotto nella somministrazione intraarticolare. L’effetto immunosoppressore potrebbe essere considerato favorevole per ridurre il rischio di sviluppare la cosiddetta “tempesta immunitaria” elemento cruciale della polmonite interstiziale da COVID-19 ed altre manifestazioni cliniche. Tuttavia, attualmente, tale protocollo è raccomandato solo in casi di shock refrattario e comunque con un basso grado di evidenza. A tal proposito, le artralgie osservate frequentemente nei pazienti affetti da SARS nella pandemia del 2003 venivano trattate con terapia steroidea con buon grado di successo.
Oggetto di discussione è stato anche l’utilizzo di farmaci antiinfiammatori non steroidei (FANS). In particolar modo è stato osservato che in alcuni soggetti affetti da COVID-19 l’ibuprofene peggiorerebbe lo stato clinico. Tale effetto sarebbe associabile all’aumento dei livelli di ACE-2 a seguito dell’utilizzo di tale molecola che aumenterebbe la suscettibilità al virus. Inoltre l’effetto antiinfiammatorio dei FANS potrebbe mascherare sintomi tipici del COVID-19 come febbre e dolori generalizzati rallentando la possibilità di una diagnosi tempestiva. Pertanto l’OMS ha vietato l’uso di ibuprofene in soggetti con sospetto clinico di contagio.
In conclusione, la gestione del dolore rappresenta già di per se un importante problema sanitario. L’attuale pandemia da nuovo coronavirus ha complicato ulteriormente l’approccio di questo sintomo sia dal punto di vista diagnostico, ricorrendo necessariamente a modelli telematici, sia terapeutico con un attenta valutazione dei rischi e benefici dei agenti antidolorofici/antiinfiammatori disponibili e dei protocolli di somministrazione. E’ pertanto raccomandabile attenersi scrupolosamente alle procedure di sicurezza e gestire con sufficiente buon senso i pazienti con dolore.
BIBLIOGRAFIA:
- Cohen SP et al.Pain Management Best Practices from Multispecialty Organizations during the COVID-19 Pandemic and Public Health Crises. Pain Med. 2020 Apr 7. pii: pnaa127. doi: 10.1093/pm/pnaa127.
- Shanthanna H et al. Caring for patients with pain during the COVID-19 pandemic: Consensus recommendations from an international expert panel. Anaesthesia. 2020 Apr 7. doi: 10.1111/anae.15076
- COVID-19 Strategic Preparedness and Response Plan OPERATIONAL PLANNING GUIDELINES TO SUPPORT COUNTRY PREPAREDNESS AND RESPONSE. https://www.who.int/docs/default-source/coronaviruse/covid-19-sprp-unct-guidelines.pdf?sfvrsn=81ff43d8_4

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