PEGGIORAMENTO DELLA FIBROMIALGIA IN EPOCA COVID-19: L’IPOVITAMINOSI D HA UN RUOLO?
La fibromialgia (FM) è una sindrome complessa che presenta ancora adesso luci e ombre. Considerando la scarsa conoscenza della malattia e soprattutto dei suoi criteri diagnostici, la sua prevalenza risulta variabile e spesso sottostimata (va dal 2,2% circa in Italia al 2,7% in tutto il mondo). I pazienti che ne sono soffrono riferiscono un’ampia gamma di sintomi, tra cui predomina il dolore cronico diffuso, ma anche facile faticabilità, disturbi del sonno, colon irritabile e cefalea con elevato impatto sulle capacità funzionali e sulla qualità di vita. La condizione clinica sembra essere influenzata positivamente da diversi fattori tra cui la moderata attività fisica mentre altri fattori, come eccessivi stress fisici o mentali, possono peggiorarla. Tra le diverse ipotesi patogenetiche della FM studi retrospettivi suppongono anche una correlazione con le infezioni. La recente pandemia da COVID-19 ha determinato, oltre ad un interessamento prevalentemente polmonare e in alcuni casi multi sistemico, anche l’insorgenza di condizioni che interessavano l’apparato muscolo-scheletrico, in particolar modo con sintomatologia dolorifica
Un recente studio epidemiologico su un’ampia popolazione di pazienti fibromialgici ha evidenziato che i soggetti affetti da COVID-19 presentavano un peggioramento significativo della qualità del sonno, dell’energia, del dolore e della rigidità. Tale sintomatologia sembra essere legata sia ad un effetto diretto citochinico mediato (locale e centrale) sia alla ridotta mobilità che contribuisce alla sarcopenia ed allo sviluppo di dolori diffusi.
Tra le conseguenze del COVID-19, un aspetto di sempre maggiore interesse è la persistenza della sintomatologia dolorosa generalizzata, il cosiddetto long-COVID. Secondo l’Office for National Statistics, in circa una persona su cinque positive al COVID-19 persiste una sintomatologia clinica oltre le 5 settimane, caratterizzata da stanchezza (11,8%), tosse (10,9%), cefalea (10,1%) e mialgia (7,7%). Tale condizione sembra essere associata in prima ipotesi ad una attivazione immunitaria persistente in assenza di replicazione virale. I pazienti con questa sintomatologia, che può durare fino ad oltre i 6 mesi, soddisfano frequentemente i criteri per la sindrome da stanchezza cronica (CFS) o un’altra sindrome da sensibilizzazione centrale (CSS), come la FM. Tale somiglianza sindromica con la FM è in coerenza con i risultati di uno studio di neuroimaging ma anche con le alterazioni agli esami ematochimici (aumento delle citochine pro-infiammatorie come TNF-α e IL-6, e disregolazione cellule T).
Tra i possibili fattori di rischio per l’insorgenza di tale sintomatologia, i livelli sierici della vitamina D potrebbero essere associati ad una maggiore frequenza dell’insorgenza di una sindrome dolorosa cronica. Già da tempo è noto il ruolo della vitamina D nella percezione del dolore nei pazienti con FM e diversi studi hanno evidenziato un miglioramento della percezione del dolore e dell’iperalgesia in pazienti trattati con la supplementazione di tale sostanza. Inoltre sono noti gli effetti sul sistema immunitario della vitamina D, identificando i soggetti con grave ipovitaminosi più suscettibili di infezione o di maggiore severità del quadro infettivo.
Diversi sanitari che si interessano del management del paziente con fibromialgia hanno osservato un incremento del numero di casi di pazienti già sofferenti e un aggravamento della sintomatologia persistente. Diversi sono i fattori che possono essere presi in considerazione:
L’infezione da COVID-19 nella forma simil influenzale o in forma severa potrebbe provocare la riattivazione della malattia con sintomi sovrapponibili al long-COVID (riacutizzazione della FM e Sindrome della fatica cronica)
L’elevato stress legato alla paura del contagio potrebbe aver provocato una maggiore percezione del dolore in pazienti con fibromialgia
La scarsa attività fisica durante il lockdown potrebbe condurre ad un peggioramento della sintomatologia dolorosa muscolo-scheletrica
Insorgenza o aggravamento della sintomatologia a causa di una riduzione dei livelli sierici di vitamina D
Alla luce di tali considerazioni SI-G.U.I.D.A. propone di partecipare ad uno studio scientifico con lo scopo di valutare l’impatto della pandemia da COVID-19 sulla nuova insorgenza e aumento della severità della FM considerando le conseguenze del lockdown, dell’infezione e dei suoi esiti in considerazione dei livelli sierici di Vitamina D e la sua eventuale supplementazione.
Di seguito i link per ulteriori informazioni sullo studio:
Criteri di inclusione
FSS word
Scheda Paziente
Versione italiana del revised fibromyalgia impact questionnaire
Dr.ssa Laura Bazzichi
Prof.ssa Ombretta Di Munno
- Salaffi F, Giorgi V, Sirotti S, Bongiovanni S, Farah S, Bazzichi L, Marotto D, Atzeni F, Rizzi M, Batticciotto A, Lombardi G, Galli M, Sarzi-Puttini P. The effect of novel coronavirus disease-2019 (COVID-19) on fibromyalgia syndrome. Clin Exp Rheumatol. 2021 May-Jun;39 Suppl 130(3):72-77. Epub 2020 Nov 16.
- Okyay R, Koçyigit B, Gürsoy S. Vitamin D levels in women with fibromyalgia and relationship between pain, tender point count and disease activity. Acta Med Mediterr. 2016.
- Grant W.B., Lahore H., McDonnell S.L., Baggerly C.A., French C.B., Aliano J.L., Bhattoa H.P. Evidence that vitamin D supplementation could reduce risk of influenza and COVID-19 infections and deaths. Nutrients. 2020

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